Finalmente, nelle statistiche economiche, si incomincia a intravedere qualche rondine, qualche segnale – sempre più deciso – che la nostra economia si sta rimettendo in moto. Non è ancora detto che alla rondine segua una vera primavera, una crescita forte e sostenuta nel tempo. Ma sarebbe sbagliato sottovalutare questi segnali, che ci sono e che adesso vanno consolidati e rafforzati.
I dati Istat sulla produzione industriale ci consegnano la crescita su base annua più sostenuta dal 2011 (più 3 percento). Crescita trainata dai beni strumentali (cioè da quei beni che le imprese usano nei loro processi produttivi), dalla fabbricazione di coke e di prodotti petroliferi, dalla produzione di mezzi di trasporto (auto in testa) e dal settore farmaceutico. Questi dati ci dicono che le imprese tornano a scommettere concretamente, non solo negli indici di fiducia, sulla ripresa. E che i segnali positivi arrivano proprio da settori d’attività che hanno sempre contraddistinto la struttura industriale del nostro paese.
Che fare, allora, perché alla rondine dei segnali di ripresa segua la primavera della crescita? Non c’è dubbio che, dietro ai dati positivi di questi giorni, ci siano anche fattori internazionali (dollaro forte, prezzo del petrolio, politica monetaria accomodante a livello europeo). Ma è altrettanto innegabile che le riforme del governo stiano dando i primi frutti. Sulla tempistica di questi frutti, tuttavia, occorre essere chiari.
La stagnazione della nostra economia nasce da due decenni di scelte non fatte. Farle ora è una priorità. Ma non possiamo illuderci: a causa del tempo perduto, molte riforme produrranno i loro effetti positivi sulla crescita nell’arco di anni. È proprio per questo che dobbiamo procedere spediti.
Nello stesso tempo, affinché l’economia italiana non arrivi prostrata al traguardo, è importante mettere in campo misure congiunturali – di stimolo ai consumi e agli investimenti – che diano sollievo a famiglie e imprese da subito. La scorsa legge di stabilità ha mosso i primi passi, dall’Irap agli sgravi contributivi, passando per il bonus degli 80 euro. La prossima dovrà proseguire l’opera di riduzione strutturale del carico fiscale.
Per farlo, è inutile negarlo, servirebbero più margini di manovra a livello europeo nel breve periodo. La crisi greca ci segnala il bisogno di più Europa, ma – soprattutto – di un’Europa diversa. La fiducia tra paesi e popoli europei ne esce indebolita. E in un contesto istituzionale non strutturato come quello dell’Unione Europea, la fiducia è la benzina che fa andare la macchina.
Basta pensare alle regole fiscali, che sono sempre stupide per definizione, perché ti tolgono flessibilità anche quando ne avresti bisogno. Quelle regole non sono lì per stupidità. Gli europei le hanno messe perché non si fidavano gli uni degli altri, e noi italiani le abbiamo adottate perché non ci fidavamo di noi stessi. Se vogliamo allentarle temporaneamente per far fronte alla crisi e per far passare le riforme, è questo deficit di fiducia che dobbiamo colmare.