Nel governo Gentiloni sono rimasti quasi tutti gli uomini del governo Renzi. Tommaso Nannicini, perché lei non c’è?
«Anche se i partiti suonano un po’ démodé, penso sia prioritario rivitalizzarli come luoghi di elaborazione e di selezione. Darò una mano al segretario del Pd, occupandomi del programma. Credo sia il tempo delle idee e delle persone, non delle poltrone».
Non è che ha lasciato perché non poteva realizzare i progetti in cantiere, come il taglio dell’Irpef?
«No. D’accordo con il Presidente del Consiglio, a Palazzo Chigi resterà la struttura di consulenti economici per attuare i dossier già aperti. Questo Paese deve prendere in mano il timone della barca. E solo la politica può farlo: con il pilota automatico andiamo contro un iceberg».
Per pilota automatico intende il governo Gentiloni?
«Non scherziamo. Intendo un ritorno alla Seconda Repubblica, quando una politica debole lasciava decidere agli altri. E invece la politica deve assumersi le sue responsabilità: non fare una legge elettorale per impedire a qualcuno di governare, ma andare nel Paese con l’ambizione di conquistare la maggioranza».
No al proporzionale.
«Non sarebbe chiara la responsabilità di chi decide. E il paradiso del trasformismo non è utile al Paese».
E qual è una legge elettorale utile per il Paese?
«Il Mattarellum è un buon mix. Ma qualsiasi correttivo che riduca la proporzionalità, da una soglia di sbarramento alta a un premio di maggioranza, può aiutare».
Quando andremo a votare?
«(Ride) Mi occuperò del programma del Pd, non del cronoprogramma della politica».
Lei ha sempre insistito sugli investimenti. Un voto a breve, con l’incertezza che comporta, non potrebbe frenarli?
«No, l’incertezza è causata dall’instabilità politica. Il voto, se produce una maggioranza capace di governare, è l’esatto contrario. Il Pd, però, deve rendere chiara la sua direzione di marcia. Forse abbiamo avuto una sorta di bulimia di riforme. E la direzione di marcia, anche se c’era, agli occhi dei cittadini non è stata sempre chiara».
Per Bankitalia fatto 100 il reddito del 1995, gli under 35 sono scesi a 50, gli over 65 sono saliti a 160. Il governo Renzi ha tradito il mandato di parlare ai giovani?
«I giovani chiedono futuro. Tutte le riforme che abbiamo avviato per rimettere in moto il Paese avevano questa stella polare. Ma i risultati non si materializzano subito. E su molti fronti potevamo fare di più per spazzare alcune rendite di posizione e allargare le loro opportunità».
Avete preferito i pensionati.
«Non è vero. La nostra flessibilità in uscita costa meno di 10 miliardi in dieci anni. Il primo intervento per i giovani è stato resistere alle pressioni su proposte che di miliardi ne costavano anche 100. E poi per le pensioni dei giovani c’è la fase due, con il meccanismo per garantire un assegno minimo a chi avrà pochi contributi».
Ma è tutto da costruire. Rimanendo al governo avrebbe potuto spingere sul tema.
«Sono sicuro che il governo avvierà i contatti con i sindacati per andare avanti. Noi del Pd saremo di stimolo».
Sul Monte dei Paschi non era meglio intervenire prima che i costi lievitassero? Oppure è stato Renzi a frenare perché c’era il referendum?
«Facile dirlo adesso, una volta che la soluzione di mercato non ha funzionato. Ma escludo ragioni elettoralistiche»
Sui voucher, invece, servono correttivi oppure no?
«Si può ragionare su alcuni correttivi. Impedire che siano usati dalle aziende per i propri dipendenti. Prevedere una finestra più corta entro cui utilizzarli. Limitarli in alcuni settori. Ma tenendo a mente che non tutti gli abusi di cui si parla sono legati ai voucher. Se un’azienda sostituisce i lavoratori in sciopero con lavoratori pagati a ore quella è condotta anti sindacale, non i voucher».
Anche con i correttivi il referendum resterebbe in piedi. Come voteranno gli italiani?
«Dipende da che campagna elettorale sarà. Per ora prevalgono le strumentalizzazioni, come il tentativo di legare i voucher al Jobs Act. Ma se prevarranno i contenuti e ci saranno correttivi,
spero non si butti via il bambino con l’acqua sporca. Oltre il 90 per cento dei percettori di voucher fa meno di 2000 euro lordi all’anno e nella maggioranza dei casi si tratta di lavori occasionali che non avrebbe senso spingere nel lavoro nero».
Lei è tornato al suo lavoro di ricerca, con uno studio sulla mentalità politica. Cosa ha imparato della politica rispetto al suo vecchio lavoro?
«Che bisogna tenere separati i piani. E che dalle grandi ideologie ai piccoli ideologismi il passo è breve. Il dibattito sul Jobs Act purtroppo ne è un esempio».