Lo abbiamo già dichiarato: il lavoro sarà la nostra ossessione nella prossima legislatura. E siamo credibili quando lo diciamo. Con Berlusconi, le tasse non sono scese, mentre è salito lo spread. Quando la Lega ha espresso un ministro del Lavoro, l’età della pensione è aumentata senza un briciolo di gradualità, mentre la qualità dell’occupazione è diminuita.
Dove governano i Cinque stelle, i risultati, ahinoi, si commentano da soli. L’Italia è appena uscita da una delle più gravi crisi economiche della sua storia recente. La nostra economia è tornata a crescere e gli occupati sono aumentati di quasi un milione dal 2014 a oggi, superando i livelli pre-crisi e segnando una performance migliore sia della Spagna sia della Francia. Due Paesi che sono usciti dalla crisi prima di noi, anche perché hanno potuto contare su una più ampia flessibilità di bilancio.
Tutto bene, quindi? No, c’è ancora molto da fare. Dobbiamo raddoppiare i risultati raggiunti, perché non tutti ne hanno beneficiato allo stesso modo. E per farlo dobbiamo continuare lungo il percorso che abbiamo avviato. Per rafforzare la qualità dell’occupazione, il divario di costo tra lavoro stabile e temporaneo deve aumentare in maniera strutturale. Da un lato, realizzando un taglio permanente del cuneo contributivo sul tempo indeterminato. E, dall’altro, pensando ad aggravi di costo sul lavoro temporaneo che nello stesso tempo rafforzino i lavoratori e la loro occupabilità, per esempio con una buonuscita compensatoria per chi non viene stabilizzato.
Dobbiamo completare il Jobs act rafforzando i servizi alla persona, rendendo strutturale l’assegno di ricollocazione per tutti i disoccupati e consolidando il ruolo dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal). Se è vero che la formazione è l’articolo 18 del nuovo mercato del lavoro, non possiamo permettere che la sua qualità cambi drasticamente appena si varca il confine da una regione a un’altra. Servono servizi personalizzati, costruiti intorno a un “conto personale” di attivazione che unifichi gli strumenti di orientamento, di garanzia del reddito e la formazione lungo tutta la vita. Servizi che andranno innanzitutto rafforzati per migliorare l’alternanza scuola-lavoro e il sostegno ai percettori del reddito di inclusione, il primo intervento strutturale di contrasto alla povertà introdotto dal nostro governo (anche qui: fatti, non parole).
E ancora. È il momento di introdurre un salario minimo legale che abbracci tutti i lavoratori, all’interno di una nuova cornice per il nostro sistema di relazioni industriali, che combatta i contratti-“pirata” e tuteli la funzione di garanzia del contratto nazionale.
Se vogliamo continuare a creare lavoro, dobbiamo continuare ad attirare investimenti e accompagnare le nostre imprese in uno sforzo di riconversione tanto necessario quanto faticoso. I governi del Pd l’hanno fatto, con misure concrete in anni difficili: taglio dell’Ires al 24% (i cui risultati si cominceranno a vedere dall’anno in corso), eliminazione del costo del lavoro dall’Irap, super e iper-ammortamento, Industria 4.0. Questo impegno deve continuare, per proteggere chi resta indietro di fronte alle sfide del cambiamento.