La Stampa

Stati Uniti d’Europa: la risposta ai nuovi bulli

Tommaso Nannicini
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Donald Trump e i suoi non si fermeranno. Si considerano rivoluzionari investiti di una missione affidata loro dalla Storia, da Dio o dagli extraterrestri (a seconda dei casi). L’interesse di noi europei ed europee risiede nel non farci mettere in un angolo, mentre loro ridisegnano l’equilibrio globale insieme ad altri. Forse non tutti i mali vengono per nuocere. A meno di due mesi dal giuramento della nuova amministrazione americana, che sta sconvolgendo l’ordine globale con una violenza e una protervia in parte inattese, la politica europea sembra essersi svegliata. Finora, l’Europa si era comportata come la classica rana che si fa cuocere lentamente in acqua fredda, senza rendersene conto. Le intemerate di Trump l’hanno gettata nell’acqua bollente, costringendola a saltare. Se i suoi salti la porteranno in un vicolo cieco o verso una nuova vita, resta da vedere.

Andiamo con ordine. Qui Europa: i filo-trumpiani sono in difficoltà. È sempre più chiaro che i veri sovranisti sono quelli che vogliono costruire una sovranità europea, non chi ci vuole schiavi delle decisioni prese a Washington, Mosca o Pechino. Il ciclone Trump sta avendo un effetto ricostituente sia sulle istituzioni europee sia sulle politiche nazionali. Il motore franco-tedesco sembra pronto a ripartire: Macron prova a superare la debolezza interna. Il cancelliere in pectore della Germania, Friedrich Merz, pare un novello De Gaulle, mentre reclama l’indipendenza strategica dagli Usa. Il Regno Unito è sull’orlo di rimangiarsi la Brexit. Spagna, Polonia, Danimarca e Finlandia, chi per ragioni politiche, chi per ragioni geografiche, danno sostanza a una nuova fase. Per anni, l’Unione Europea, appesantita da veti, egoismi e allargamenti mal governati, ha brandito il multilateralismo per nascondere i suoi ritardi strategici. Ora la musica sembra pronta a cambiare.

Qui Italia: il nostro Paese rischia di restare ai margini proprio mentre potrebbe giocare un ruolo chiave nel definire un nuovo interesse europeo. La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, è spiazzata, tra l’incudine del rapporto privilegiato con Trump e Musk e il martello della necessità di non isolarsi in Europa, dopo anni di governo spesi a costruire con fatica una sua credibilità. Per uscirne, prova a ritagliarsi un ruolo da pontiera. Ma questa non è la fase dei ponti. Tantomeno delle ambiguità o dei minuetti. La leader del maggior partito d’opposizione, Elly Schlein, non è da meno in quanto a minuetti. Il giorno dopo essersi detta contro l’Europa che vuole continuare la guerra, aderisce alla manifestazione per l’Europa che vuole riarmarsi, in chiave anti-Trump e anti-Meloni. Al solito, gli affari internazionali da noi sono un teatrino per regolare i conti tra partiti e correnti.

Che fare, allora? L’Europa ha bisogno di due accelerazioni immediate: difesa comune e unione fiscale. Con chi ci sta ed è pronto, come è avvenuto per la moneta unica, e di sicuro non con tutti i 27 paesi. Se servono nuovi trattati, si negozino in fretta, oppure si riparta da quelli in sospeso, come suggerisce non da oggi Federico Fabbrini, ratificando il trattato del 1952 per la creazione di una Comunità europea della difesa. Se un esercito europeo non è possibile subito, si parta da un coordinamento, ma con un calendario preciso per arrivare a una forza di difesa comune. Molti paragonano questa fase al programma Next Generation EU, nato in risposta allo shock della pandemia. Il paragone, però, vale anche per gli errori da non ripetere. Primo, la risposta all’attuale crisi geopolitica deve essere interamente europea, senza riarmi e spese facili a livello nazionale. Secondo, deve essere strutturale e non temporanea, portando alla nascita di vere istituzioni europee in campo militare e, soprattutto, fiscale.

Sarebbe bello se questa domanda di svolta serpeggiasse non solo tra le élite, ma anche tra i popoli europei. Oggi, giustamente, cresce la voglia di riempire le piazze con bandiere blu stellate, per reagire al bullismo “trumputiniano”. Ma domani dovremmo fare qualcosa in più. Magari sostenendo il movimento federalista europeo o altre forze europeiste trasversali. Di sicuro, impegnandoci in qualsiasi organizzazione politica, economica o sociale perché diventi un soggetto pienamente europeo, superando ogni provincialismo.

Diamo testa e gambe a un nuovo sovranismo europeo, popolare e pragmatico. Diamo spazio al coraggio e all’immaginazione. Come ha scritto Ivan Krastev sul “Financial Times”, il modo migliore per far fallire una rivoluzione non è contrastarla, ma dirottarla, appropriandosi politicamente degli spazi vuoti che crea. Vale anche per la rivoluzione trumpiana. Se le leadership europee saranno all’altezza della fase buia che ci attende, ne vedremo delle belle. Con una luce in fondo al tunnel: gli Stati Uniti d’Europa.

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