Priorità al lavoro giovanile, e quindi al taglio strutturale della contribuzione per i neo assunti, per poi realizzare subito in avvio della prossima legislatura «una riforma dell’Irpef che riduca il carico fiscale sulle famiglie con figli». E un avvertimento sulle pensioni: le proposte per cancellare del tutto l’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita non sono solo una “mina” per i conti pubblici ma vanno nella direzione contraria a quella indicata dal Pd dell’«equità tra le generazioni e dentro le generazioni». Insomma, non si può parlare di pensione minima garantita per i giovani e poi permettere di andare in pensione prima del previsto (ossia 67 anni a partire dal 2019, termine che alcuni come gli ex ministri Cesare Damiano e Maurizio Sacconi vorrebbero spostare al 2021): «È una contraddizione parlare di pensioni per i giovani, ossia prenderci cura del futuro, e poi chiedere più risorse solo per chi in pensione ci va oggi».
Tommaso Nannicini – già sottosegretario a Palazzo Chigi con Renzi premier e ora membro della segreteria del Pd – manda questo messaggio al mondo politico prima della sua partenza per gli Stati Uniti, dove terrà un corso ad Harvard come visiting professor: priorità ai giovani, e nessun intervento sulle pensioni che non sia selettivo.
Professor Nannicini, è dunque d’accordo con la priorità data dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al taglio del cuneo fiscale per il lavoro giovanile?
«Mi è gioco facile ricordare che mi è capitato di proporlo l’anno scorso, con Renzi ancora al governo, all’interno di un cronoprogramma preciso di interventi, che prevedeva due prossime tappe: prima un intervento strutturale sul costo del lavoro stabile e poi una riforma dell’Irpef che sostenga le famiglie con figli. Ed è giusto partire dal lavoro: un forte sgravio contributivo per i primi anni di impiego che si affianchi all’apprendistato senza spiazzarlo, anzi valorizzandolo laddove l’esigenza formativa è prioritaria. Nella prossima legge di stabilità, oltre all’intervento sul cuneo fiscale, c’è poi spazio per la manutenzione di alcuni strumenti già messi in campo dal governo Renzi».
Si riferisce alle politiche attive del lavoro?
«Sì. E alle misure di contrasto alla povertà. Va rafforzato il reddito di inclusione, soprattutto la rete di servizi per chi lo percepisce. E bisogna mettere mano alla rete dei centri per l’impiego superando le gelosie e gli scaricabarile tra amministrazioni regionali e centrale: se ci sarà un accordo tra Stato e Regioni sui servizi essenziali da garantire su tutto il territorio nazionale sotto la regia di Anpal, bene. Altrimenti il governo dovrebbe prendersi in carico direttamente la costruzione di una rete di sportelli che non lasci solo nessuno, a Milano come a Reggio Calabria».
L’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita non si tocca?
«La sostenibilità del sistema previdenziale non è solo questione di conti che non possono essere scassati, ma di equità tra generazioni. Se si parla del sistema retributivo o del misto, quelli che riguardano chi sta per andare in pensione adesso, non ha senso cancellare l’adeguamento per tutti. Ma come ha ricordato anche l’Ocse, non tutti i lavoratori sono uguali. Nella scorsa legge di bilancio sono già stati esclusi i lavori usuranti. Bisogna vedere se ci sono margini per fare ulteriori interventi selettivi. E vanno rafforzati gli strumenti, come l’Ape sociale che sta avendo molto successo, che agiscono dal lato degli ammortizzatori sociali dando un reddito ponte fino alla pensione per chi è in difficoltà. Per gli altri, va fatta partire subito l’Ape volontaria. Ulteriori ritardi, con i tassi attuali, sarebbero dannosi oltre che incomprensibili».
Resta dunque la proposta di una pensione minima garantita per i giovani?
«C’è sicuramente il tema dell’adeguamento delle pensioni dei più giovani, i lavoratori che andranno in pensione tra 20 o 30 anni. La prima leva resta quella di creare lavoro. La seconda è un sistema di integrazione al minimo che ora non c’è per il sistema contributivo. Ossia un assegno di garanzia modulato sugli anni di contributi versati, riconoscendo anche i periodi spesi nella formazione. Un meccanismo che, oltre ad andare nella direzione dell’equità sociale e intra-generazionale, è anche un incentivo a lavorare e a versare contributi per le fasce più deboli. Anche questo, per il Pd, è prendersi cura del futuro».
Superammortamento e iperammortamento. Gli incentivi previsti da Industria 4.0 vanno confermati?
«Quegli incentivi non sono stati pensati come incentivi strutturali ma congiunturali. Ora va fatto un tagliando per capire se occorre confermarli ancora per un anno oppure no. E si può pensare a una sorta di superammortamento della formazione, ossia rinnovare lo sgravio solo a chi presenta dei piani per la formazione e la valorizzazione del capitale umano. Insomma, un incentivo non a pioggia ma a chi investe sulla forza lavoro».
Non è ora di introdurre la web tax?
«La questione più urgente, al riguardo, è che l’Unione europea parli con una voce unica per contrastare il protezionismo degli altri, a cominciare naturalmente dagli Usa, invece di farsi concorrenza al suo interno. L’obiettivo deve essere quello di una fiscalità comune europea: se non difendiamo la nostra base imponibile, la ricchezza che viene prodotta in Europa, difficilmente riusciremo a difendere il modello sociale europeo».
La capacità fiscale comune ci riporta alla questione del fiscal compact. Va superato?
«Occorre creare una vera e propria istituzione politica di livello europeo che sia in grado di emettere bond per gestire la domanda aggregata e intervenire in caso di rischi sistemici, usando come garanzia i flussi futuri di gettito fiscale ceduti dai Paesi aderenti. Questo significa cedere sovranità. Ma se l’Europa ritarda questo processo, i singoli Paesi non possono stare con le mani in mano. Nel frattempo occorrono regole semplici, e gli Stati membri devono riappropriarsi della possibilità di mettere in campo politiche anti-cicliche senza dover contrattare ogni volta sugli zero virgola. Superare il fiscal compact non significa reclamare politiche pro-cicliche per l’Italia ma, appunto, riappropriarsi di leve congiunturali senza le quali la ripresa rischia di rallentare e le riforme messe in campo di impantanarsi».