Mentre il mondo corre incontro alla tecnologia 5G, l’Italia è bloccata dalle 3G delle sue disuguaglianze: di genere, generazionali e geografiche. Aree interne che si spopolano, giovani che inseguono i loro sogni all’estero, donne che lasciano il lavoro dopo la nascita di un figlio per non farvi rientro. Sono problemi legati a diritti e opportunità: quelli dei giovani italiani, e in particolare delle giovani donne, di poter mettere su famiglia, scegliere se diventare genitori. Dal 2008 al 2018, nella classe di età tra 15 e 34 anni, la quota di chi ha un lavoro stabile si è ridotta quasi del 10%, mentre aumentava tra chi ha più di 35 anni. I giovani italiani lavorano sempre meno e, soprattutto, guadagnano meno rispetto alle altre generazioni. Solo il 4% della spesa per politiche sociali, però, va a persone e famiglie con meno di 40 anni. La differenza fra le giovani coppie italiane e quelle europee sta nelle opportunità di lavoro, nei diritti garantiti a chi vuole diventare genitore e nelle condizioni delle aziende di fronte alla genitorialità.
Ecco le priorità su cui si dovrebbe concentrare la legge di bilancio, invece di disperdere risorse in troppi rivoli: occupazione femminile, giovanile e natalità. C’è qualcosa nella manovra appena approvata dal governo, che stanzia risorse per le famiglie e per il taglio del cuneo, ma non basta per dare uno shock. Perché, allora, non usiamo il passaggio parlamentare per far emergere che sono questi i chiodi fissi della nuova maggioranza? Servono tre mosse: 1) congedo di maternità al 100% dello stipendio e congedo di paternità di 15 giorni; 2) assegno unico per le famiglie con figli e carta universale per i servizi all’infanzia; 3) taglio selettivo, ma massiccio, del cuneo fiscale per giovani e donne. Dirottiamo lì il maggior numero di risorse, anche con una fuoriuscita accelerata da Quota 100.
Oggi, una lavoratrice in maternità obbligatoria riceve l’80% dello stipendio. I genitori devono rinunciare a una parte del reddito quando le spese mediche si moltiplicano e poco prima di affrontare l’esplosione delle spese per l’infanzia. Molti contratti collettivi integrano il 20%, ma non tutti sono coperti e questo scarica comunque un costo sulle imprese. Ecco allora la prima mossa: usiamo la fiscalità generale per coprire al 100% la maternità e introduciamo 15 giorni di paternità obbligatoria, così da accompagnare un cambiamento nella divisione dei ruoli all’interno della famiglia.
Rispetto ad altri paesi, il nostro fisco aiuta poco le famiglie con figli e contiene disuguaglianze inaccettabili: gli incapienti non hanno detrazioni, gli autonomi non ricevono l’assegno al nucleo familiare. Ecco allora la seconda mossa: un assegno unico per i figli a carico che aiuti tutte le famiglie e una carta universale da spendere per rette dell’asilo, babysitter e beni per l’infanzia (una “carta bimbi” che razionalizzi ed estenda i bonus esistenti). Fare figli non può essere una scelta che non si può sostenere economicamente.
In attesa che queste misure su congedi, fisco e servizi producano un cambiamento nelle scelte di lavoratori e aziende, però, si può fare di più. Non ce lo chiede solo la demografia, ma l’economia. Per tornare a crescere il nostro Paese deve allargare le opportunità delle donne e dei giovani. Ecco allora la terza mossa: tutte le risorse individuate in manovra per il taglio del cuneo fiscale non siano disperse in una misura che rischia di non produrre risultati se spalmata su una platea troppo ampia; si proceda subito con un taglio selettivo, ma massiccio, solo sui giovani sotto i 35 anni e sulle donne.
È il tempo delle scelte, non dei rimpalli di responsabilità tra alleati. Servono misure che facciano percepire nel quotidiano il cambiamento portato da questo governo. Altrimenti, sul biglietto da visita di questa manovra apparirà una scritta già vista tante volte in passato: occasione mancata.