Un ministero per il Terzo settore e la sussidiarietà. In queste ore concitate per la formazione della nuova maggioranza la proposta arriva dal senatore democratico Tommaso Nannicini, ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri con delega al coordinamento delle politiche pubbliche in ambito economico, sociale e di ricerca scientifica nel governo Renzi.
Come nasce questa proposta?
«Vedo innanzitutto un’esigenza generale di rivendicare la possibilità di parlare di poltrone astraendoci dalle persone; ma, questo sì, focalizzandoci sulle funzioni necessarie a dare risposte alle necessità dei cittadini e di trasmettere una visione rispetto all’indirizzo politico da dare al Paese. In questo quadro nel nuovo governo ritengo necessario accrescere il protagonismo del Terzo settore. Questo per tre ordini di ragioni».
Quali?
«C’è una ragione politica, c’è una ragione culturale e c’è una ragione di policy. La prima è determinata dall’urgenza di dare un segnale politico rispetto a un settore che nell’ultima stagione è stato considerato un capro espiatorio e non una formidabile risorsa per il Paese di fronte a nodi che la politica non ha saputo essere in grado di gestire. Penso all’immigrazione, ma non solo. Poi, e qui veniamo all’aspetto culturale, occorre far capire che solidarietà e stato sociale non significano statalismo, ma sono anche sussidiarietà, privato sociale e investimenti sui soggetti di Terzo settore. L’esigenza di politiche pubbliche, infine, è sotto gli occhi di tutti: c’è una riforma del Terzo settore fatta dal governo Renzi nella scorsa legislatura che ancora necessità di tanti decreti attuativi che riguardano questioni varie e importanti: fiscali, contrattuali e così via. Questioni che incanalate nelle competenze specifiche di un singolo ministero avrebbe maggiori chances di realizzazione».
Pensa a un ministero con o senza portafoglio?
«Io dico che serve un mandato politico forte. Potrebbe essere un ministero senza portafoglio o un sottosegretario alla presidenza del consiglio con una delega specifica a chiudere la partita della riforma».
Non vede il rischio che un ministero senza portafoglio per il Terzo settore faccia la fine del ministero della famiglia: tanta visibilità, ma alla fine poca sostanza?
«Potrebbe essere così se non ci fosse la leva della riforma da portare a casa. E il relativo forte mandato politico da parte del nuovo esecutivo. Nella mia proposta poi parlo di un ministero per il Terzo settore, ma anche per la sussidiarietà. Proprio per dare il segno che questa scelta non deve essere una bandierina da mettere per tenere buono il mondo del non profit, ma la conseguenza di una riflessione sulla creazione di un modello di sviluppo fondato sulla crescita inclusiva. Tenga conto che un ministro senza portafoglio o un sottosegretario alla presidenza del consiglio avrebbero comunque funzioni di coordinamento intraministeriale e potrebbero muovere leve importanti da palazzo Chigi».
La sua è una proposta condivisa all’interno del Pd?
«Per ora è una proposta di carattere personale. Vediamo che passi potrà fare. Capisco le complessità del quadro politico ma spero che sia condivisa la volontà di mandare un segnale in queste direzioni».
Il vostro alleato però sarebbe quello stesso Movimento 5 Stelle che non è mai parso entusiasta della riforma del Terzo settore. Come far digerire un minitsero ad hoc ai grillini?
«Non è l’unico tema che ci differenzia dai 5 Stelle. Su questo e su altri punti ci sarà da trovare un punto di caduta. L’importante è che il punto di caduta sia figlio di una visione e non sia la giustapposizione di posizioni diverse. Le diversità si superano se i nodi non si nascondono sotto il tappeto, ma si discutano e si affrontano nel contesto del nuovo patto politico di governo».
Incominci lei a metterli sul piatto…
«Il problema, per intenderci, non è stata solo la campagna salviniana contro le ong, è stato anche un eccesso di statalismo dei 5 Stelle sul welfare che ha fatto da freno rispetto all’innovazione sociale e la sussidiarietà. Ripeto: sono nodi che vanno portati allo scoperto per raggiungere obiettivi comuni come lo è sicuramente un modello di welfare più inclusivo che parli di servizi e non solo di trasferimenti monetari e sappia rispondere ai bisogni dei cittadini».