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Un modello francese per l’Italia

Tommaso Nannicini, Vincenzo Galasso, Massimo Morelli, Salvatore Nunnari
Democrazia/#legge elettorale

Al nostro paese serve una legge elettorale che abbia un’ottica di lungo periodo e rifondi il rapporto tra elettori ed eletti su basi nuove. Un sistema con collegi uninominali e doppio turno alla francese consentirebbe di migliorare la selezione dei politici e favorire la governabilità.

I DIFETTI DEL PROPORZIONALE
Ci sono almeno due buoni motivi per riformare il sistema elettorale italiano. E per farlo subito, senza ulteriori indugi. Primo: migliorare la qualità della classe politica, anche attraverso un ripensamento del ruolo dei partiti. Secondo: aumentare la governabilità del paese. Si tratta di obiettivi importanti e di lungo periodo, per nulla limitati alla situazione politica contingente. Tuttavia, le ultime elezioni politiche li hanno riportati prepotentemente alla ribalta mostrando sia la disaffezione dei cittadini verso l’attuale classe politica, sia la difficoltà di formare un governo stabile e credibile  in grado di fronteggiare la crisi economica. Quale sistema elettorale, allora, può aiutarci a raggiungere i due obiettivi?

Non un sistema proporzionale, come quello usato sia nella Prima Repubblica sia oggi.
È ampiamente documentato come il sistema proporzionale crei incentivi allaframmentazione tra partiti e alla polarizzazione delle posizioni politiche durante la campagna elettorale. Dopo le elezioni, tuttavia, emerge la necessità di formare coalizioni tra forze politiche, che nella maggior parte dei casi si sono aspramente combattute in campagna elettorale. Più i partiti si polarizzano e si scontrano nell’agone pre-elettorale, nel tentativo di convincere gli elettori, più difficile è formare, e mantenere, coalizioni post-elettorali di Governo, con il risultato di ridurre la governabilità. Anche questo è un risultato noto: il proporzionale favorisce l’esistenza di partiti di nicchia e consente dunque a un ampio numero di cittadini portatori di interessi diversi di essere rappresentati in Parlamento; ma al costo di un compromesso post-elettorale tra partiti che tendono a polarizzarsi in una sorta di “tiro alla fune” per aumentare il loro potere negoziale. Paradossalmente, oggi parte del risentimento dell’antipolitica è riconducibile proprio alla frattura tra le dichiarazioni pre-elettorali e la formazione di accordi post-elettorali.

I VANTAGGI EL DOPPIO TURNO
In mancanza di meccanismi competitivi per la selezione dei politici all’interno dei partiti e con un sistema a liste bloccate, in cui gli eletti in Parlamento sono in larga misura decisi dai capi corrente, l’elettorato teme che i compromessi post-elettorali siano incentrati unicamente su una mera spartizione di poltrone e potere. Un sistema maggioritario può migliorare la situazione? Sia nell’accezione a turno unico che a doppio turno, il sistema maggioritariogarantisce più competizione elettorale e più rappresentanza a livello locale. La maggiore competizione elettorale (soprattutto se non ci sono troppi collegi sicuri) consente una migliore selezione dei politici, poiché i partiti hanno un incentivo a ricorrere al miglior candidato al fine di vincere il seggio in palio in ogni (piccolo) collegio elettorale. Inoltre, lo stretto legame con il distretto elettorale aumenta la responsabilità degli eletti verso gli elettori del territorio di riferimento, riducendo in parte il potere dei partiti.

Anche la governabilità diventa più probabile, benché non garantita (soprattutto se i comportamenti elettorali non si aggiustano rapidamente al nuovo contesto). Aggiungere l’elezione diretta del capo dello Stato in uno schema alla francese potrebbe dare un’ulteriore mano in questa direzione, favorendo uno schema tendenzialmente bipolare che potrebbe avere effetti di traino sui voti ai partiti, ma in ultima analisi la governabilità dipenderà dall’evoluzione del sistema dei partiti.
È senz’altro un sistema elettorale con collegi uninominali e doppio turno alla francese quello che ci avvicinerebbe di più a entrambi gli obiettivi di migliorare la selezione dei politici e favorire la governabilità. Come nel proporzionale, le diverse istanze dell’elettorato e i partiti minori sarebbero ancora, almeno in parte, rappresentati al primo turno. Tuttavia, il doppio turno aumenterebbe il livello di competizione con effetti positivi sulla selezione interna nei partiti maggiori. Successivamente, i partiti usciti vittoriosi dal primo turno avrebbero una spinta centripeta, poiché la necessità di attrarre i voti dei partiti “vicini” sconfitti al primo turno favorirebbe la moderazione pre-elettorale. Ciò faciliterebbe anche la costituzione di (eventuali) coalizioni post-elettorali, nel caso di mancato raggiungimento di una maggioranza assoluta a livello nazionale.
In realtà, il mero obiettivo della governabilità potrebbe essere raggiunto anche da un’altra proposta (minimalista) di cui si è discusso in queste settimane: estendere il sistema elettorale oggi vigente alla Camera (il Porcellum con premio di maggioranza su base nazionale) anche al Senato, magari prevedendo che il premio scatti solo per il partito che superi il 40 per cento dei voti per entrambe le camere, in modo da eliminare le anomalie più vistose di un premio secco in un quadro fortemente frammentato. Ciò garantirebbe la governabilità, a patto che si verifichi il vincolo di cui sopra, ma sicuramente non migliorerebbe la selezione dei politici e non ridurrebbe le spinte alla polarizzazione. Di conseguenza, la partecipazione dei cittadini continuerebbe a diminuire.
Solo il ricorso al doppio turno consentirebbe di centrare in un colpo solo sia l’obiettivo della governabilità sia quello di migliorare la qualità dei politici riavvicinandoli agli elettori. È finito il tempo delle riforme elettorali “usa e getta”, disegnate (bene o male) su fattori contingenti e destinate a durare per l’arco di poche legislature. Serve una riforma che abbracci un’ottica di lungo periodo, stabilizzando la transizione infinita del nostro sistema politico e ponendo il rapporto tra elettori ed eletti su basi nuove.

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