qdR magazine

Un’altra Italia è già qui (ma il PD non la vede)

Tommaso Nannicini
Democrazia/#politica

Per chi crede che i partiti possano ancora svolgere, se non il monopolio, almeno un ruolo cruciale nella selezione competitiva delle politiche pubbliche e delle classi dirigenti, le ultime settimane hanno regalato eventi di un certo peso. Alla direzione PD, Pierluigi Bersani ha annunciato che il suo partito promuoverà primarie aperte per la scelta del candidato premier e che lui si candiderà. A Napoli, la conferenza PD sul lavoro ha partorito una linea coerente, sintetizzata nella relazione di Stefano Fassina e nell’ intervento dello stesso Bersani (poi ribadito in un’ intervista sull’Unità).

Al segretario del PD e ai suoi vanno riconosciuti due meriti: il coraggio delle primarie e la chiarezza della proposta da presentare al paese. Bravi, così si fa. Detto questo, la linea industrialista e antirigorista che caldeggiano (con annessa critica al governo Monti) non è ciò che serve al paese. Il perché l’abbiamo scritto su qdR a più riprese. In sintesi: l’analisi è sbagliata, la proposta generica, la credibilità limitata.

Basta leggere i link di cui sopra. Tutti i nostri mali, a quanto pare, nascono dalle “scelte sbagliate dei conservatori tedeschi e francesi” e dalle “tecnocrazie” di Bruxelles e Francoforte. Siamo sicuri che un paese col debito al 120% e una ragnatela di rendite non abbia niente da rimproverarsi? Il governo Monti è accusato di aver “sottovalutato l’effetto recessivo dell’austerità”, “sopravvalutato la rilevanza delle riforme”, “trascurato la necessità delle politiche industriali”, “dato scarsa attenzione all’equità” e “frainteso la funzione delle forze sociali”. Il governo può contare sull’appoggio del PD per senso di responsabilità. Ma responsabilità verso cosa? Verso la macelleria sociale imposta da Francoforte?

E quale alternativa concreta si propone: spendere di più per le pensioni? Rendere rigido il lavoro flessibile? Risolvere tutto con più autostrade e carrozzoni pubblici gestiti da politici di professione? E chi paga? Non si capisce perché mai la politica debba scegliere tutto: a chi dare gli ammortizzatori in deroga; a chi pagare i debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni (soprattutto alle piccole imprese, secondo il lodo Fassina); in quali settori industriali cercare il futuro degli italiani. Già fa fatica a fare bene il suo lavoro. Perché impicciarsi d’altro? Risposta: per una “politica alternativa al liberismo mercantilista fondato sulla svalutazione del lavoro”. Giusto, scusate: chissà perché ce lo scordiamo sempre.

Da ultimo, c’è il nodo della credibilità. Può una classe dirigente che è stata in prima persona al governo per 7 degli ultimi 18 anni, avanzare proposte tanto generiche? Quando si parla di spese non da tagliare ma da “riqualificare”, quali sono gli esempi concreti che questa classe dirigente può vantare? E quando si annunciano gli effetti miracolosi delle politiche industriali a gestione politica, siamo sicuri che i cittadini, guardando le municipalizzate e le fondazioni bancarie gestite dal PD, dormano sonni tranquilli? Su questo, bisogna riconoscere che Fassina, Orfini e compagnia hanno più credibilità di Bersani, Bindi e compagnia: si mandi avanti loro, allora.

Sia chiaro: la linea socialdemocratica e industrialista di Bersani è una posizione politica più che legittima, niente affatto isolata in Europa (sigh) e radicata in aree importanti del paese (sigh sigh). Il punto è che le primarie dovrebbero essere il campo di battaglia in cui questa linea si confronta con un’altra. Quella delle piattaforme del Lingotto, per intenderci. Cosa pensano Veltroni e i politici che hanno animato quella stagione liberaleggiante? E cosa pensa Letta degli attacchi a Monti? I casi sono due. O hanno cambiato idea (non credo) e quindi è giusto che appoggino Bersani. O non hanno cambiato idea e quindi è giusto che lo sfidino lealmente puntando su un candidato alternativo. C’è una terza opzione. Dire che il campo è impraticabile e se ne discuterà in un futuro congresso. Per carità, i limiti di una consultazione di coalizione senza che ci sia una coalizione sono evidenti, ma dubito che gli italiani capirebbero l’utilità di primarie in cui non si parla di politica. Rinviare la sfida sulla linea è una scelta di corto respiro. Se Bersani vince, chi potrà mai contrastarlo in un congresso di partito? Se perde, che legittimità avrà chi poteva parlare per tempo e non l’ha fatto?

Al momento, l’unica leadership alternativa a Bersani è Matteo Renzi. Con il capitale politico che ha accumulato grazie al suo coraggio e alla sua chiarezza, è una candidatura che potrebbe raccogliere la bandiera di un blairismo all’italiana. Sì, ci vuole coraggio per dire che “non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere tratti marginali dell’identità del nostro partito”. Applausi per lui. Ma anche qui non mancano i nodi da sciogliere. Correrà Renzi o un candidato di bandiera? E la linea con cui ci si presenterà sarà davvero chiara (e la classe dirigente che si cercherà di mobilitare coerente), oppure prevarrà la tentazione di un vago giovanilismo, portatore di un rinnovamento fine a se stesso? Se il termine “riformista” non è sexy e televisivo, nessun problema. L’importante è che le proposte siano nette e riconoscibili. Si lanci la sfida con chiarezza: sui contenuti, non su altro. Chi vuole seguire, seguirà.

Se alle primarie si potrà davvero scegliere tra linee alternative dipenderà in gran parte dai soggetti di cui sopra (veltroniani, liberal, riformisti, renziani e rottamatori tramutatisi in costruttori). C’è una parte del paese che potrebbe mobilitarsi di fronte a una scelta vera. Non si tratta di scovare piattaforme visionarie e dire che “un’altra Italia è possibile”. Ma di riconoscere che “un’altra Italia è già qui”. Farla entrare nell’agone politico. Farsi contagiare dalla sua voglia di costruire un futuro diverso, dove la retorica dei diritti e la bassa cucina delle relazioni all’italiana non finiscano per mortificare il merito e le opportunità di tutti. Un futuro dove ci siano politiche sociali più efficaci perché ispirate a un universalismo selettivo, meno tasse, più concorrenza e più merito (altro che politiche industriali!). Per il momento, quest’Italia il PD fa finta di non vederla. Bersani perché, legittimamente, la pensa in modo diverso. Gli altri perché rischiano di farsi impiccare alle corde dei loro tatticismi. Cari riformisti (o come cavolo preferite chiamarvi), se ci siete battete un colpo. Al prossimo congresso potrebbe essere troppo tardi.

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