qdR magazine

Via Bettino Craxi

Tommaso Nannicini
Democrazia/#craxi

Ci risiamo: il dibattito su Craxi si riaccende con una polemica buona per riempire le pagine dei giornali (e i messaggi su Twitter o Facebook, i tempi cambiano). Il PDL cavalca il tema per mascherare il suo vuoto di idee. I professionisti del giustizialismo cercano di ravvivare le loro carriere. Verrebbe voglia di girarsi da un’altra parte. Ma la ferita è aperta: difficile non cadere nel tranello. Questa volta siamo a Firenze, dove il PDL vuole intitolare una via al defunto leader del PSI. Il sindaco Matteo Renzi ha fatto sapere che non se ne parla, perché non avrebbe “un valore pedagogico”. Perché le vie servono “per dire ai ragazzi cosa hanno fatto di grande quei personaggi”.

Curioso compito da affidare alla politica: dividere i morti in santi e peccatori. Compito che forse dovremmo lasciare a qualcun altro. Se quella è la premessa, allora, sarebbe meglio usare i numeri per nominare le vie, come a Manhattan. Perché la prima lezione da trasmettere ai ragazzi è che in politica (come nella vita), gli eroi non esistono. Esistono le persone, con le loro grandezze e debolezze. E le vie dovrebbero ricordare chi ha lasciato un segno nella nostra traiettoria collettiva attraverso entrambe, come non potrebbe essere altrimenti. Un paese che ha fatto i conti con la sua memoria permette che tutte le storie che l’hanno reso quello che è oggi onorino i propri protagonisti. Rattrista, invece, leggere i messaggi su Twitter e Facebook che inneggiano alla decisione di Renzi, sbeffeggiano i “ladri” e dicono che è bene non curarsi di quei “quattro gatti” dei socialisti, parlando di una storia che non conoscono, o che conoscono per aver letto Marco Travaglio e Vittorio Feltri, piuttosto che Luciano Cafagna e Zeffiro Ciuffoletti.

Visto che nel tranello sono ormai caduto (e a qdR, da bravi amici, mi lasciano fare), provo a dire la mia. E la mia è che ci sono due versioni di quella vicenda storica che continuano a essere sottaciute, per interesse di parte o per ignoranza, a seconda dei casi. La prima ha a che fare con la natura della lotta politica (chiamiamola: “PSI per principianti”). La seconda ha a che fare con il finanziamento della politica (chiamiamola: “Tangentopoli per principianti”).

PSI (PARTITO SOCIALISTA ITALIANO) PER PRINCIPIANTI
Ancora oggi, si fatica ad ammettere che la demonizzazione del nuovo corso socialista di Bettino Craxi, allievo di Pietro Nenni e convinto assertore della centralità della politica, non nacque con la questione morale, ma intorno a temi squisitamente politici, a partire dagli anni che seguirono la sua elezione a segretario del PSI nel 1976: grande riforma istituzionale; strategia euro-atlantica; scala mobile; responsabilità civile dei magistrati; offensiva culturale in nome di un anti-comunismo di sinistra, madre di tutte le eresie col muro di Berlino ancora in piedi. Su quei temi, come oggi riconoscono in molti, Craxi e i socialisti avevano ragione. E i frutti di quella ragione sono ancora fra noi. Con Tangentopoli, si tentò di giustificare ex post, su presunte basi morali, una demonizzazione che era tutta politica.

Si badi bene: aver ragione nel merito e veder scomparire il proprio partito (con alle spalle un secolo di storia) non è un’attenuante, ma un’aggravante. Non ci fu un semplice complotto. Certo, gli avversari gettarono benzina sul fuoco. Ma come aspettarsi altrimenti? L’errore dei socialisti fu quello di permettere che ciò avvenisse per colpa dei propri errori. Perché persero il contatto col paese dopo il 1989 e finirono per apparire il baluardo di un sistema di potere alla cui ombra si erano ramificate corruttele. A un certo punto, a via del Corso si aggiravano troppi faccendieri, che difficilmente la sera, prima di andare a letto, leggevano “Mondoperaio”, Luciano Pellicani o Norberto Bobbio. Questo c’è stato (le ombre di quella stagione, la solitudine del suo leader e i suoi errori politici), ma non cancella certo le luci e le battaglie ideali che Craxi, quel gruppo dirigente e milioni di militanti ed elettori hanno sostenuto nell’interesse del paese.

TANGENTOPOLI PER PRINCIPIANTI
E così veniamo a Tangentopoli. Come ha riconosciuto Gerardo D’Ambrosio, le accuse rivolte a Craxi non riguardavano casi di arricchimento personale, ma di finanziamento illegale della politica, nella sua veste di leader del PSI. All’ombra di quel sistema illegale, certo, si annidavano corruzione e distorsioni della concorrenza. Ma quel sistema – con l’aggiunta dei flussi di denaro provenienti dall’estero – riguardava tutta la Prima Repubblica, in tempi in cui le spese erano molto alte, per ragioni nobili e meno nobili (come le guerre intestine tra correnti). Questo tema la politica non volle affrontarlo (e gli stessi socialisti lo sollevarono fuori tempo massimo): i danni di quella scelta sono ancora fra noi. Ci si affidò alla ghigliottina dei processi, che colpivano con la precisione di una roulette russa, anche perché il reato di finanziamento illecito ai partiti era stato depenalizzato per alcuni anni ma non per tutti.

È stupefacente come la campagna d’odio verso la classe politica fu alimentata da quanti ne venivano risparmiati: politici che si erano incrociati per una vita con i reprobi additati al pubblico disprezzo, da alleati o da avversari, ma sempre alternando le private familiarità con i pubblici duelli. E condividendo la medesima passione per la politica. Rimane inspiegabile, per chi sia stato anche solo sfiorato da quella passione, come i politici rimasti fuori dal ciclone non abbiano sentito l’impulso di arginare l’odio, di rimpiazzare la voglia di punire con la voglia di spiegare. Di spiegare che cosa erano la politica e il suo finanziamento nella Prima Repubblica. Di spiegare che non c’era da vergognarsi se per un periodo la politica aveva riempito alcuni vuoti anche finanziariamente, stipendiando gli amministratori locali (permettendo ad alcuni ceti sociali di emanciparsi e far parte della classe dirigente) e aiutando i dissidenti delle dittature di destra o di sinistra (o quelli di entrambe nel caso dei socialisti). Ciò non giustifica il sistema illegale con cui la politica si finanziava, o le distorsioni che imponeva sull’attività economica. Ma si doveva lo stesso distinguere.

Detto questo, intitolare una via al leader socialista non è ciò che conta. Si mandi pure via Craxi dalla toponomastica italiana. Non è questo il punto. Il punto è politico. E ci parla di come gli italiani dovrebbero fare i conti in maniera matura con la propria storia. Ci parla di quale spazio dare alle pagine importanti scritte dal PSI (e dal suo leader per 16 anni) in quella storia, a battaglie ideali che hanno fatto germogliare idee che ancora fortificano la nostra vita collettiva. La questione non riguarda solo gli ex PSI, ma tutti noi. Di questo dovremmo parlare. Non di cartine stradali, ma di politica: delle sue bassezze e della sua bellezza. Come disse una volta lo stesso Craxi, che era un politico di un altro tempo: finché avrò carta e penna, continuerò a fare politica. Quattro o cinque gatti che siano, attivi o meno nei partiti attuali, i socialisti (italiani), finché avranno un computer e un accesso a internet, continueranno a fare lo stesso.

PS: Proprio grazie a internet, che è più aperto e pluralista delle toponomastiche dettate dalle convenienze dei politici, si può leggere la lettera di Sergio Moroni – deputato del PSI – al presidente della Camera Giorgio Napolitano prima di suicidarsi nel 1992. Non è mia abitudine arrischiarmi a definire una lettura pedagogica. In questo caso, mi arrischio.

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