Una comunicazione politica efficace si fonda su dati raccolti in modo mirato e intelligente. Per comprenderne le potenzialità anche per l’Italia, oggi e nelle prossime uscite, proponiamo una serie di articoli che raccontano in chiave statistica tre campagne elettorali per l’elezione del sindaco.
ALLA RICERCA DI DATI INTELLIGENTI
Nei timori di alcuni (e nelle speranze di altri), le primarie Pd di questo weekend potrebbero imprimere un’accelerazione nel percorso verso le urne. Magari non sarà così e di sicuro il Governo Letta incasserà presto una nuova fiducia dal Parlamento. Ma è inutile negare che in molti ambienti si respiri già aria di elezioni. Dopo le avvisaglie estive degli striscioni berlusconiani sulle spiagge italiane, è probabile che partiti e consulenti siano già all’opera per affinare gli strumenti di marketing elettorale. Raccogliendo idee e, forse, racimolando dati che consentano d’indirizzare la comunicazione politica in modo efficace.
Anche in Italia si fa un gran parlare di “big data”, ma i database dalle grosse dimensioni, raccolti soprattutto online, da soli non bastano. Servono “smart data” – dati raccolti in maniera mirata e intelligente, possibilmente con interventi di natura sperimentale – per capire come disegnare il marketing elettorale più efficace a seconda del contesto competitivo.
Per chi è interessato all’argomento, una lettura divulgativa d’indubbio interesse è il libro del giornalista Sasha Issenberg, The Victory Lab, che racconta decenni di esperienze statunitensi nel settore. Decenni di prove ed errori, di collaborazioni a volte riuscite e a volte meno tra politici, consulenti e accademici. Un mix di intuizioni di singoli visionari e di scelte politiche forti operate a livello di partito, come quando il Democratic National Committeedecise negli anni Ottanta di investire su un gruppo che lavorasse sulla raccolta e sull’analisi dei dati. Questo approccio ha portato a ridisegnare strumenti tradizionali come il “porta a porta”, le cartoline postali e le telefonate di propaganda, lasciando però che siano i dati a orientare gli strumenti. Inutile aggiungere che l’avvento dei social media ha scritto un capitolo del tutto nuovo.
È di poche settimane fa la notizia che George Soros ha donato 2 milioni e mezzo di dollari, unendo le forze con altri donatori, per finanziare lo sforzo di un’organizzazione vicina al partito democratico specializzata nella raccolta dati. Obiettivo: creare un’infrastruttura statistica che possa essere usata da tutti i candidati democratici nelle elezioni del 2014, controbilanciando gli sforzi che i repubblicani stanno già portando avanti. Negli Stati Uniti, è ormai chiaro a tutti che saper raccogliere e usare i dati in maniera rigorosa magari non basta per vincere le elezioni. Ma non saperlo fare è una ricetta sicura per perderle.
E in Italia? Il quotidiano Europa ha realizzato un’interessante serie di interviste, curate da Giovanni Diamanti , ai consulenti politici di alcune delle maggiori elezioni amministrative degli ultimi anni. Il quadro che ne emerge è che, ovviamente, agli spin doctor nostrani non sfuggono i risultati delle migliori pratiche statunitensi, ma spesso l’assenza di dati, la rapidità delle campagne e un certo ritardo culturale dei candidati rispetto all’uso di tecniche non interamente basate sull’intuito politico, riducono di molto i margini di manovra. Insomma, per tornare a “The Victory Lab”, si ha l’impressione di essere ancora negli Stati Uniti di vent’anni fa.
TRE ELEZIONI IN CHIAVE STATISTICA
Per mettere in luce alcune delle potenzialità che si nascondono nell’uso dei dati nella comunicazione politica, proponiamo tre articoli che raccontano altrettante campagne elettorali in chiave statistica: Milano 2011, Arezzo 2011 e Roma 2013.
Il primo articolo (“Più proposte e meno attacchi per avere il voto delle donne“, Vincenzo Galasso e Tommaso Nannicini) riporta i risultati di un sondaggio sperimentale condotto durante le elezioni per il sindaco di Milano nel 2011. L’esperimento mostra che uomini e donne rispondono in maniera molto diversa a messaggi elettorali negativi (contro l’avversario) piuttosto che positivi (incentrati sulle proposte del candidato). L’implicazione è che gli strumenti di comunicazione dovrebbero essere disegnati in maniera accurata a seconda dei destinatari, per esempio uomini o donne, tenendo conto anche degli studi di economia comportamentale, psicologia cognitiva o scienza politica sperimentale. L’importanza del micro-targeting a prova di dati, insomma.
Il secondo articolo (“Strano ma vero: la propaganda elettorale funziona“, Tommaso Nannicini e Francesco Trebbi) riassume i risultati di un esperimento sul campo unico nel suo genere, realizzato in collaborazione con il sindaco uscente di Arezzo, Giuseppe Fanfani, che correva per la rielezione nel 2011. Lo studio mostra come esperimenti scientifici condotti in maniera rigorosa possano fornire indicazioni utili non solo per la ricerca accademica, ma anche per chi deve condurre la campagna. Ormai non si fanno esperimenti solo negli Stati Uniti: nel 2012, la campagna di François Hollande ne ha realizzato uno sull’efficacia del porta a portaper convincere gli elettori dei quartieri più svantaggiati a votare (in collaborazione con lo studente di PhD in economia Vincent Pons, Mit). Il caso di Arezzo è l’unico esperimento sul campo realizzato finora in Italia, e presenta caratteristiche che lo distinguono dai precedenti anche sul piano internazionale.
Il terzo articolo (“Chi ha vinto la campagna di Roma“, Tommaso Giommoni, Chiara Maggi, Luca Riva e Chiara Serra) non riguarda un esperimento, ma analizza la campagna per le elezioni del sindaco di Roma nel 2013. L’articolo unisce dati sulle iniziative di tutti i candidati in campagna elettorale, statistiche sulle celle censuarie e risultati elettorali a livello di sezione, tutti geo-referenziati. L’analisi dimostra la potenzialità dell’incrocio di fonti di daticosì diverse, se venisse realizzata prima e non dopo la campagna elettorale.
Insomma: in Italia esistono grossi margini per rendere le campagne elettorali più efficaci raccogliendo dati e analizzandoli in maniera rigorosa. A buon intenditor, poche parole.