Il governo Letta ha incassato una nuova fiducia dal Parlamento. Ma è inutile negare che in molti ambienti si respiri già aria di elezioni. Dopo le avvisaglie estive degli striscioni berlusconiani sulle spiagge italiane, è probabile che partiti e consulenti siano già all’opera per affinare gli strumenti di marketing elettorale. Raccogliendo idee e, forse, racimolando dati che consentano d’indirizzare la comunicazione politica in modo efficace.
Anche in Italia si fa un gran parlare di “big data”, ma i database dalle grosse dimensioni, raccolti soprattutto online, da soli non bastano. Servono “smart data” – dati raccolti in maniera mirata e intelligente, possibilmente con interventi di natura sperimentale – per capire come disegnare il marketing elettorale più efficace a seconda del contesto competitivo. Per chi è interessato all’argomento, una lettura divulgativa d’indubbio interesse è il libro del giornalista Sasha Issenberg, The Victory Lab, che racconta decenni di esperienze statunitensi nel settore. Decenni di prove ed errori, di collaborazioni a volte riuscite e a volte meno tra politici, consulenti e accademici. Un mix di intuizioni di singoli visionari e di scelte politiche forti operate a livello di partito, come quando il Democratic National Committee decise negli anni Ottanta di investire su un gruppo che lavorasse sulla raccolta e sull’analisi dei dati.
Questo approccio ha portato a ridisegnare strumenti tradizionali come il “porta a porta”, le cartoline postali e le telefonate di propaganda, lasciando però che siano i dati a orientare gli strumenti. Inutile aggiungere che l’avvento dei social media ha scritto un capitolo del tutto nuovo. È di poche settimane fa la notizia che George Soros ha donato 2 milioni e mezzo di dollari, unendo le forze con altri donatori, per finanziare lo sforzo di un’organizzazione vicina al partito democratico specializzata nella raccolta dati. Obiettivo: creare un’infrastruttura statistica che possa essere usata da tutti i candidati democratici nelle elezioni del 2014, controbilanciando gli sforzi che i repubblicani stanno già portando avanti. Negli Stati Uniti, è ormai chiaro a tutti che saper raccogliere e usare i dati in maniera rigorosa magari non basta per vincere le elezioni. Ma non saperlo fare è una ricetta sicura per perderle.
E in Italia? Il quotidiano Europa ha realizzato un’interessante serie di interviste, curate da Giovanni Diamanti , ai consulenti politici di alcune delle maggiori elezioni amministrative degli ultimi anni. Il quadro che ne emerge è che, ovviamente, agli spin doctor nostrani non sfuggono i risultati delle migliori pratiche statunitensi, ma spesso l’assenza di dati, la rapidità delle campagne e un certo ritardo culturale dei candidati rispetto all’uso di tecniche non interamente basate sull’intuito politico, riducono di molto i margini di manovra. Insomma, per tornare a “The Victory Lab”, si ha l’impressione di essere ancora negli Stati Uniti di vent’anni fa.
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