Il Riformista

Zapatero insegna l’uso del bastone e della carota sui contratti

Tommaso Nannicini
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È probabile che il premier spagnolo Zapatero abbia fatto i debiti scongiuri al vedere apparire nelle librerie di Madrid l’italianissimo Dvd “Viva Zapatero!”, una volta informato dai suoi collaboratori sulla cosiddetta “maledizione Gorbaciov”, leader politico osannato in Italia ma non del tutto popolare nel proprio paese. Non c’è dubbio, infatti, che il prodotto Zapatero in Italia vada alla grande. Da tempo è un’icona del fronte laico. Il ministro Gentiloni ha da poco dichiarato che per la riforma televisiva intende ispirarsi al modello Zapatero. Il ministro Damiano ha indicato nel pacchetto Zapatero (il patto siglato alla Moncloa tra governo e parti sociali lo scorso maggio) la via da seguire anche in Italia per la lotta alla precarietà. Tesi rilanciata da Fiorella Kostoris sul Riformista del 7 novembre, in un articolo in cui si sottolinea giustamente come alcune misure previste dall’attuale Finanziaria (aumento delle aliquote contributive di parasubordinati e apprendisti; sgravi fiscali legati ai contratti permanenti) incentivino la sostituzione del precariato con l’impiego a tempo indeterminato, grazie “all’incremento del costo relativo del primo rispetto al secondo”.

È bene ricordare, tuttavia, che la ricetta Zapatero è sì basata su questo principio, ma lo applica incidendo anche sulla regolamentazione delle forme contrattuali, non solo sul cuneo fiscale e contributivo. In Spagna, i contratti temporanei sono stati resi più costosi mediante l’introduzione di vincoli normativi, mentre i contratti stabili sono stati resi più convenienti con una riduzione dei costi di licenziamento. Per capire se una strategia di questo tipo sia importabile in Italia, occorre chiedersi fino a che punto il nostro mercato del lavoro e quello spagnolo siano paragonabili.

La Spagna si è distinta per un vero e proprio boom del lavoro temporaneo, in seguito alla sua liberalizzazione nel 1984. I lavoratori a tempo sono presto diventati un terzo di tutti i dipendenti, rimanendo intorno a quel livello anche dopo una serie di riforme che negli anni ‘90 hanno cercato di ridurre la precarietà. Secondo le ultime rilevazioni, i temporanei sono il 33% dei lavoratori dipendenti e il 27% degli occupati. Anche il nostro paese, come noto, ha reso più facile il ricorso al lavoro temporaneo. Ma in Italia la quota dei contratti a termine non ha fatto registrare un boom di dimensioni spagnole (la quota dei lavoratori temporanei sul totale dei dipendenti è passata dal 12% del 1997 al 14% del 2003). Nello stesso tempo, anche nel nostro paese gli indicatori del mercato del lavoro hanno fatto registrare andamenti positivi (soprattutto sul versante della disoccupazione). Tuttavia, il tasso di occupazione della popolazione in età lavorativa resta al 57,8% in Italia, contro il 65% della Spagna. Per le donne, il tasso di occupazione è pari al 45,7% in Italia, contro il 53% della Spagna. In sintesi: la Spagna ha una maggiore precarietà, ma anche tassi di occupazione più elevati.

Il pacchetto Zapatero contiene tre interventi principali all’interno di una terapia d’urto contro la precarietà: 1) stabilizzazione dei lavoratori temporanei attraverso una momentanea diminuzione dei costi di licenziamento per il tempo indeterminato (prima del 2008, tutti i contratti temporanei, anche quelli con durata di pochi giorni, potranno essere trasformati in contratti permanenti con buonuscita ridotta); 2) stabilizzazione dei lavoratori temporanei attraverso incentivi monetari (prima del 2007, i contratti temporanei convertiti in permanenti e quelli permanenti offerti a certe categorie, tra cui le donne che riprendono a lavorare dopo cinque anni di inattività, potranno godere di consistenti sgravi contributivi); 3) divieto di incatenamento di contratti temporanei successivi (un lavoratore che ha firmato con la stessa impresa, e per lo stesso tipo di lavoro, due o più contratti per una durata complessiva superiore ai 24 mesi nell’arco di 30 mesi deve essere assunto in forma permanente).

Che lezione se ne può trarre per l’Italia? Innanzitutto, va notato che governo e parti sociali spagnole non hanno previsto né un preciso protocollo di monitoraggio degli strumenti approvati, né un allargamento della rete di welfare con chiari impegni di spesa. Nel nostro paese, qualsiasi riforma che voglia affrontare il nodo della precarietà fra le nuove generazioni non potrà fare a meno di questi ingredienti. Ma esiste anche un insegnamento in positivo che può essere tratto dalla ricetta Zapatero: qualsiasi intervento diretto a favorire la stabilizzazione dei lavoratori a termine deve dosare bastone e carota. Questo, in Italia, potrebbe tradursi in una strategia di riforma in due mosse.

Prima mossa (il bastone). Sfoltire la selva di contratti atipici oggi esistenti, per individuare due sole tipologie: 1) poche forme contrattuali che vadano incontro a esigenze di mera flessibilità organizzativa o produttiva di breve periodo (interinali, stagionali), al cui utilizzo siano posti limiti stringenti rispetto al totale della manodopera aziendale; 2) un unico contratto a termine con maggiori garanzie, a partire da una durata minima di due o tre anni.

Seconda mossa (la carota). Incentivare la stabilizzazione dei contratti temporanei attraverso la possibilità di convertirli in contratti a tempo indeterminato con costi di licenziamento ridotti (prevedendo una buonuscita modulata sull’anzianità di servizio, fatto salvo l’obbligo di reintegro per i casi di discriminazione). Il tutto per un periodo limitato di qualche anno, dopo il quale governo e parti sociali tornano a confrontarsi sulla base di un preciso monitoraggio della riforma definito ex ante.
Con una strategia di questo tipo, accompagnata da una sostanziale estensione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori flessibili, l’Italia potrebbe importare il meglio dell’esperienza spagnola senza passare per la stessa esplosione della precarietà.